lunedì 31 gennaio 2011

Denti, mani e pelle

La strada è un luogo, una casa per molte persone, qui a Bucarest. Colpisce certamente la realtà romena perchè molte, moltissime di queste persone sono ragazzi, se non addirittura bambini. La strada è un ambiente, e come tale modifica chiaramente coloro che ci abitano.
Nell'intervento precedente ho scritto che non esistono i "ragazzi di strada" perchè esistono dei ragazzi che entrano, vivono, e, talvolta escono. Dalla strada. E allora continuiamo a tenerli separati. Sforziamoci di pensare che tutti i ragazzi, anche quelli che sono nati in strada, abbiano fatto una specie di patto/contratto con questo ambiente. Che abbiano scelto di farsi condizionare dalla strada, fino anche ad essere dipendenti da essa. Sono, tuttavia, consapevoli che, in questo contratto, è prevista la clausola della non assimilizione. Possono uscirne, possono scegliere. Mi piace pensarla così. E vediamo se i due contraenti si sono impegnati nel rispetto delle clausole, soprattutto in quella della non assimilazione.Vediamo, in particolare, come le esperienze in di questa vita possano modificare l'aspetto fisico delle persone. Come questi ragazzi possano restare per molto tempo condizionati dalle esperienze che hanno vissuto.
Soltanto la settimana scorsa ho seriamente scritto qualcosa sulle facce e sui corpi dei ragazzi che passano il loro tempo al Centro diurno di Parada. Scriverò solamente delle tre parti del corpo che vedo modificarsi più velocemente e più visivamente. Non scriverò di altro, perchè quando la strada è cattiva vi sono parti del corpo che non si possono più curare. E ora non mi va di parlarne.
Scriverò di denti, di pelle e di mani.
Credo che la vita di strada voglia dire principalmente avventura. Parlo di avventure forti, eccitanti, molto spesso pericolosissime. Avventure che ogni ragazzo si ricorda molto bene, rimangono impresse con un inchiostro indelebile. Perchè hanno causato dolore, oppure tanta felicità. Quando chiedo ai ragazzi quale esperienza si ricordano di più nella loro vita di strada, mi sento rispondere che sono i grandi gruppi di amici con i quali condividi e lotti per sopravvivere. Compagni di vita, più che amici. Compagni di aiuti. E allora mi viene in mente, pensando al fisico e ai tartti comuni di molti dei ragazzi, che la colla è, sia un fattore che modifica il loro fisico (parlo di fisico riferendomi solamente ai tratti esteriori), che un momento sociale, una specie di condivisione di qualcosa. Un rito che serve a loro per unirsi nella lotta contro...
La colla, assieme alle sigarette e alla cattiva nutrizione, ci fa notare i denti. Malati, pieni di carie, storti, rotti. Sono i denti, estremamente fragili, i primi ad essere colpiti dalle sostanze nocive inalate ed ingurgitate. Con i denti rotti dai gas acidi della colla si mangia lentamente. I ragazzi non hanno fretta nel mangiare, non si avventano. Mangiano lentamente, e soprattutto rispettano i tempi di ognuno, se sono in gruppo. Non dico che si aspettano l'un l'altro, ma cercano al massimo di condividere il cibo. Soprattutto questo: i più grandi, i responsabili mangiano per ultimi. E questo l'ho notato molte volte, quando sono stato con loro in strada. Al Centro no. Al Centro sono tutti uguali rispetto all'associazione che impone loro un programma e un menu unico.
I denti si manifestano quando sorridono, e sorridono molto! Questo mi fa pensare alla loro "normalità". A quanto siano estremamente "normali" rispetto ai nostri canoni di normalità determinati principalmente da una condizione: non essere drogati. Ecco, quando non assumono colla hanno una capacità straordinaria di adattarsi all'ambiente. I ragazzi che ho conosciuto hanno un carattere estremamente sveglio. Alcuni sono estremamente determinati e vogliono ciò che non hanno potuto avere di più prezioso: la scuola.
Poi le mani, rovinate o avvalorate da esperienze quotidiane in quelle strade. Mani di chi sa usarle. Mani di chi cerca e di chi quotidinamente le usa per infilarsi in ogni dove a cercare un qualcosa da consumare, usare come possibilità per proseguire. E non parlo solamente di cestini, rifiuti, o di soldi. Parlo di lavoro, di praticità, di abilità. Parlo dell'arte di arrangiarsi con poco, con gli strumenti da lavoro. Che possono essere cacciaviti o pale per aprire i tombini per buttarci dentro la neve davanti al cancello del Centro diurno. Che possono essere clavette, palline, nasi rossi, giochi di magia. Il circo non poteva nascere in un posto più adatto. E si vede. I ragazzi di Bucarest hanno un'abilità, che secondo me non deriva dalle ore di pratica al centro diurno fin da bambini. C'è qualcosa di più. Le mani. Le mani che permettono, le mani che non hanno avuto paura di niente, neppure delle penne che proprio ora devono imparare ad usare. Mani rovinate, tagliate, cicatrizzate. Unghie sporche, rovinate, ma alcune eleganti, alcune che colpiscono. Mani che ti danno la mano anche se non ti conoscono. Mani che ti salutano, tu, straniero. Mani che ti rispettano perchè non sei a casa tua, sei uno straniero. Mani che danno l'inizio di un rapporto che può durare una settimana un emse o più. Mani, che sono le prime a soffrire. Mani malate, inibite dal più grave dei mali per questi ragazzi romeni: il freddo quasi polare. I meno dieci/quindici della notte si riflettono ghiacciate sulle mani. Per stringerle devi fare piano, altrimenti urlano dal dolore. E' questo che non riesco a concepire. Il freddo. Il freddo che non vuol dire solo povertà. Perchè i vestiti ce li hanno, seppur vecchi e rotti. Il freddo non è solo la fame. No, non è questo. Il freddo è proprio di chi non ha casa. E' questo il problema di questo stato. Non risce a combattere il freddo. E' come potrebbe farlo?
Infine la pelle. Dura, rigida, tagliata. la pelle mette insieme tutto. Ma soprattutto mi fa pensare che chi ha la scorza della vita, chi ha i calli sulle dita, e vuole/decide di scalare la scala sociale, potrebbe potenzialmente essere un piccolo eroe. Per tutti un grande esempio. Quindi vedo il futuro in questa pelle.

Sperando di vedere ancora, sperando di associare ancora i  miei pensieri al loro fisico.

domenica 30 gennaio 2011

Partiamo dai pensieri semplici

Sono sempre più convinto che i ragazzi di strada non esistano, ma esistano i ragazzi, e la strada. E' difficile non generalizzare quando li osserviamo. E' difficile pensare, quando vediamo un bimbo mendicare alla stazione della metro di Piata Unirii, che in realtà anche lui abbia un nome, o una storia alle sue spalle. Ieri sera ho visto due bimbi nella metro di Piata Unirii. Due bimbi che avranno avuto sei anni. Uno dei due rideva. Perchè rideva?
Il problema, se si può chiamare così, è che, prima di quel bambino, nelle nostri menti compare l'immagine del senzatetto, del povero, della strada stessa, della strada come se quella di Bucarest fosse la stessa di quella di Udine. Arriviamo subito a pensare, con le nostre menti complicate, direttamente al sistema senza aver l'interesse ad approfondire le singole storie. In qualche milesimo di secondo arriviamo a ragionare sulle difficoltà economiche che il governo della Romania non è riuscito a superare e al paradosso dell'entrata in Romania nell'Unione europea e al perchè l'Unione europea non attua controlli su questo territorio e al sistema corrotto e alla crisi politica e morale di queste ultime generazioni di amministratori nonchè alla vecchia mentalità comunista che esiste ancora e al fatto che in Italia ci sono i barboni e non i bambini e quindi dovremmo stare in una situazione un poco migliore e alla crisi morale all'indicenza di vedere queste immagini in Europa all'inizio del XXI secolo e e e e e e.... eh basta! STOP!!!
In noi si avvia quella terribile operazione di massimo comune denominatore che non ci permette di arrivare alle singole storie, ai problemi che ogni ragazzo ha affrontato e affronta. Non arriviamo alle cose semplici.
Chi gli ha dato quei vestiti? Dove ha torvato i soldi per quel panino? Sembra che non abbia una mano ma è veramente così? Dove la tiene nascosta? Chissà dove dorme, con chi dorme. Chissà come si chiama, e chi gli ha dato questo nome?
Vorrei imparare a ragionare anche in questo modo. Credo che la consocenza delle piccole cose ci renda poi più capaci di comprendere il perchè delle medie, delle grandi (talvolta). Se questo è il nostro scopo.
Un operatore di strada lavora in questo modo. Cerca di risolvere i piccoli bisogni quotidiani. Facendo questo entra, anche involontariamente, in una rete sociale complicatissima, che mette in relazione i beneficiari del servizio (i ragazzi), con il loro gruppo, con le famiglie, con i clan. Partendo dalla soddifazione di bisogni semplici e concreti si può arrivare a capire, per esempio, perchè c'è bisogno dell'operatore sociale per avere/non avere quella determinata cosa. Può anche essere che un ragazzo vada in strada perchè le mura della sua casa siano in realtà le mura di una sola stanza, in cui ci vivono in otto. Un ragazzo può scegliere la strada perchè non ha un parco giochi in cui divertirsi, perchè ritrova nel gruppo di coetanei la sicurezza che due genitori non gli hanno dato.
Tante sono le storie, tanti i piccoli problemi, le piccole richieste, le piccole soddisfazioni.
Credo che sia un grande arrichimento personale cercare di dare spiegazioni razionali prima ai singoli, più semplici, più nascosti problemi relativi alle singole, più semplici, più nascoste persone che possono vivere nella realtà multiforme delle strade, delle nostre piccole e grandi strade.
Si tenta, insomma.

martedì 25 gennaio 2011

L'ipocrisia della chiusura degli orfanotrofi

http://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Romania-l-ipocrisia-della-chiusura-degli-orfanotrofi

Dopo un mese di pausa torno a scrivere. Mi pare urgente proporvi questo articolo recentissimo, scritto da padre Filippo Aliani, dei Frati minori Capuccini, molto attivo qui in Romania. Il tema è centrale, anche per quello che ho personalmente riscontrato parlando con i responsabili del Centro diurno di Parada.
Il problema è questa ipocrisia, questa necessità di risolvere formalmente i problemi, lasciandosi dietro vite umane. Il problema è la velocità del voler fare, che tenta tutti, dai governi ai responsabili di progetti di cooperazione. In particolare mi riferisco alle scadenze obbligatorie che il Governo di Romania ha dovuto rispettare per entrare in Unione Europea nel 2007.
Molti ragazze e ragazze dagli orfanotrofi tornano/vanno in strada, espondendosi a pericoli inimmaginabili. Ho conosciuto molti ragazzi che hanno scelto di TORNARE IN STRADA. Chi da un orfanotrofio, chi da un posto di lavoro che, seppur precario o in nero, ha permesso loro una piccola formazione culturale, chi dopo la "reintegrazione in famiglia".
Conosco una ragazza che ha voluto PROVARE LA STRADA. Perchè è stata tentata da questa apparente libertà, da quest'eccitazione, che esiste veramente. E' vera, esiste. Ovviamente le conseguenze per chi entra in strada, senza aver già la pelle con i calli di esperienze estreme, sono devastanti. E se non c'è un controllo da parte degli operatori sociali, le situazioni diventano critiche, per non dire di peggio.

Quindi buona lettura