martedì 21 dicembre 2010

Rapido n 360 Bucureşti -Бeoгpaд

Gara de Nord ore 20.49
Treno: rapido n 360 Bucureşti -Бeoгpaд
Partenza: Bucureşti ore 20.49
Arrivo: Бeoгpaд ore 08.55

Il mio viaggio verso l'Italia ha come tappa intermedia Belgrado, la capitale dei Balcani.
Bucarest non è nei Balcani e neppure nella regione dei Carpazi. Bucarest si trova in una pianura immensa e lontana dal mare, una pianura che si unisce alla piana della Moldova e dell'Ucraina. Quella pianura che non si ferma più perché arriva fino al confine con la Russia.
E succede spesso che il vento proveniente da Mosca si faccia sentire con forza sul vento più mite del Mar Nero. Si capisce immediatamente che è il vento gelido dell’Est. Tagliente e secco, si incunea perfettamente anche tra i pochi peli della mia barba, e si fa sentire sulla mia pelle, come se questa fosse un esercito su una pianura senza ostacoli, adatta per essere conquistata. Bucarest si fa conquistare da questo vento. La Russia, non l’Europa, conquista Bucarest e l’affascina. Non Europa, non l’Ovest, ma l’Est della sua pianura.
Per questo cerco Belgrado.
Gli slavi meridionali, i Balcani, l’Est occidentale di un mondo protetto da colline e montagne che, benché conquistate da troppi eserciti, hanno protetto l’originalità di un popolo costruito su tante etnie. Quindi voglio un viaggio tra Romania e Serbia, voglio vedere quel confine, piano piano lungo quella pianura che diventa collinare appena si passa il Danubio. Voglio vedere che cosa succede quando quel vento freddo si abbatte sulle dolci pendici dei Balcani, se resiste con forza o deve accettare un compromesso di vergogna.
Il treno che percorre questo confine temporale sembra il mezzo con cui il tempo stesso si mantiene conservatore, legato a quel tempo in cui fu costruito, affezionato alle antiche tradizioni senza riscaldamento e di accoglienza nei confronti dei poveracci senza biglietto, che ci salgono per passare una notte lontani dal gelo polare della pianura di Valacchia. I controlli in Romania hanno lo stesso viso di quelli al tempo del comunismo: antipatici, ripetitivi, violenti, senza gentilezza. Ma ogni controllore è un personaggio teatrale, carico di carattere forte, ignorante della libertà di circolazione e di quelle nuove dell’Unione. Il suo lavoro è controllare, controllare che il treno non si evolva in qualcosa di più moderno. Di più ipocrita.
La pianura innevata scorre come le acque di un grande fiume in piena. Calmo il fiume, come il silenzio del paesaggio congelato, come se fosse dolce proprio perché disabitato. Il paesaggio che mi passa davanti ha il viso di un vecchio romeno che mi sorride notando la mia inesperienza di Romania, come un maestro sorride quando i propri allievi provano a risolvere un’equazione impossibile. La pianura mi guarda, pur cieca e congelata. La Romania sembra dolce, ma la terra serba si avvicina, e quando passo il confine mi accorgo che un sollievo dentro di me si è fatto respiro.
La Serbia, mi sembra strano dire che finalmente sono quasi ad Ovest. Eppure è questa la sensazione alle 5 del mattino di questa nottata viandante. Vedo la Serbia come un mondo più vicino al mio, più sviluppato e più “normale”. Le case sono più pulite e regolari, i paesi sembrano poco caotici.
Passiamo il Danubio immenso e ci troviamo in quello strano incrocio tra la Sava e lo stesso Danubio, sopra il quale domina la fortezza della capitale serba. Belgrado attende il treno da una posizione di collina, sembra più alta, più forte. Ha un aspetto poco confortante, industriale e palazzoni grigi compongono lo sfondo nebbioso. Vedo l’Urbe balcanica dal basso verso l’alto, con ammirazione e paura, come quando vedo i suoi abitanti bellissimi, altissimi con gli occhi di ghiaccio. Quell’aria gelida è solo apparenza. Questa città mi ha accolto come nessuna ad Est aveva mai fatto: mi considera e si fa considerare. Ci offre dell’acquavite per scaldarci, alle 9 del mattino. La neve che scende dal grigiore conclude il benvenuto. Mi sento sicuro, quasi a casa anche se non sono neanche a metà della distanza che separa Trieste alla mia Bucarest. Nulla sembra in disordine, eppure la Serbia... Tanta neve, poca polvere. Belgrado non sembra l’ultima polveriera d’Europa, e i suoi palazzi scoperchiati dalle bombe sono lasciati cadaveri solo per polemica. Non c’è polvere di regime, né vergogna storica, non vedo spazi inutilizzati né una libertà ipersfruttata. Vedo tranquillità e vita quotidiana, semplicità di campagna lungo i viali pedonali di ciottoli, che in questi tre mesi ho sognato come se fossero la mia casa, la mia nostalgia. Cioccolata e dolci nel viale di alberi in riposo dall'inverno conducono alla fortezza delle meraviglie. La neve cade e fa il suo effetto. A Bucarest la neve non cade, e non fa il suo effetto. Il cirillico ha il suo fascino, ci mette curiosità e ci incuriosisce, mentre la notte arriva e il poco traffico del centro entra in un locale sotterraneo per ascoltare della musica gitana e svanire nella calda estate di un bicchiere di Rakija fatta in casa.
Belgrado mi ha messo tranquillità, avevo bisogno della sua pacatezza. Una pace dopo le bombe.

Il problema è che non so se Belgrado sia davvero così.
Sicuramente Bucarest non lo è.

domenica 19 dicembre 2010

Un pensiero a caldo

Un pensiero a caldo da una mansarda riscaldata.

Ma chi l’ha detto che in questi giorni a Bucarest faccia freddo?
Non prendiamoci in giro: Bucarest è una città gelida e bollente allo stesso tempo. Il caldo e il freddo convivono nel ventre di questa città, donna che non sarà mai madre.
La sala comune di Parada è calda e accogliente con le sue pareti colorate e il viso del pagliaccio che ti dà il benvenuto e il thè di quel pomeriggio o la minestra di quella mattina per colazione erano di sicuro bollenti.
In Villa, invece, non è così: le pareti di cemento grezzo sono fredde, così come le mani di Alin, ghiacciate e rigide. Ma dietro alla finestra chiusa e impolverata, brillano flebili le fiamme di poche candeline gialle fissate sul muro con la cera: semplici fonti di calore e di luce. Che magia quando il caldo e il freddo decidono di incontrarsi: due mani che si strofinano, un sorriso e tante parole non dette.
Il vin fiert è bollente, ti scotta la lingua e riscalda la pancia e allora non si può far altro che iniziare a ballare al ritmo di chitarre e fisarmonica, lasciando che tutti i pensieri salgano in alto nel cielo. Chi balla non ha freddo, chi suona non ci pensa: trasferimenti di calore.
Eppure a volte il caldo è terribilmente egoista, si chiude tra i quattro vetri di un locale: una scatola che suda e balla, infernale all’interno, muta da fuori. Cosa avrà mai pensato quel piccoletto (un vecchio o un bambino chissà) che passava quella sera davanti a quella vetrina di corpi danzanti? Forse non l’ha neppure vista a causa della cassa che portava sulle spalle che gli copriva il viso.

Dicono che gli sbalzi di temperatura non facciano troppo bene alla salute, che facciano venire il raffreddore, ma devo ammettere ora che è quasi piacevole soffiarsi il naso in continuazione.

Francesca

martedì 30 novembre 2010

Pensiero notturno

Mi vengono in mente i bambini non solo di Bucarest, ma di tutto il mondo. I bambini di strada, intendo. Ma non pensiamoli come "bambini di strada" perchè vivono tutti in strada. Pensiamoli come "bambini" di "strada" perchè essere bambini significa molte cose, come pensare che la libertà sia un gioco. E perchè la strada è un mondo bellissimo, libero, un mondo da sognare. Perchè la strada è pericolosa, crudele, la strada è esposta. La strada è tante cose. Ogni bambino ha la sua strada.
Non chiamiamoli con un'etichetta.
Non chiamiamoli randagi.
Loro forse stanno in strada senza conoscere la casa. Noi forse stiamo in casa senza conoscere la strada.



lunedì 29 novembre 2010

I ragazzi della strada e della colla

Vorrei con questo post fare chiarezza su chi siano i ragazzi di Bucarest. Lo farò, tuttavia, senza soffermarmi sui particolari e senza dare spiegazioni approfondite, perchè non mi sento ancora in grado di spiegare a fondo il fenomeno di questi ragazzi, chiamati con il nome di "boskettari", cioè di randagi, di abitanti della strada, del bosco. In realtà molti in Romania, e qui a Bucarest in particolare, li chiamano "ragazzi della colla", cioè ragazzi che inalano aureolac, una specie di colla, una droga inalante costituita da acqua e colla-vernice prodotte da industrie, che causa loro gravi problemi allo sviluppo fisico, soprattutto se inalata da bambini, e problemi psicologici, perchè fa crescere nervosismo e instabilità mentali. 
Strada e colla quindi. Questi sono i marchi che questi ragazzi si portano addosso, perché così sono stati fotografati dall'esterno, secondo me marchi o classificazioni estremamente limitanti e parziali, che vogliono rinchiudere questi bambini in una specifica categoria sociale, definita da randagismo e uso di droga. A questo punto mi vengono in mente tutti i nomi dei ragazzi di Parada, dei ragazzi che frequentano il centro diurno dell'associazione, di quelli che proprio ora sono in torunée in Italia, di quelli che vivono negli appartamenti sociali o di quelli che vivono in strada. Tutti loro sono stati, e molti lo sono ancora, boskettari. Ma Florin, Marian, Claudiu, Alin, Cristina, Floara, Marian, Gabi, Gabi, Mustafà, Alina hanno storie molto diverse perchè le loro strade, e qui il senso letterale del termine incontra quasi perfettamente la sua connotazione, sono iniziate e si sono, per molti, concluse in momenti e modi differenti. Quindi prima di studiare il fenomeno desidererei che non ci si limiti a osservare il problema come un pacchetto confezionato con una sola etichetta. I caratteri dei ragazzi sono così diversi che meriterebbe evitare di fare delle foto, ma piuttosto farsi raccontare da ognuno la propria storia.

Tuttavia in questo noiosissimo post vorrei scrivere quello che ho capito, in questi due mesi, sulle cause storiche di questo grave problema romeno, che tuttavia raggiunge in altri paesi del mondo un numero di casi ben più alto (India, Brasile, Somalia, Kenya, i maggiori).
La scoperta del fenomeno si deve principalmente alla caduta del regime comunista di Ceausescu nel 1989, quando con il potere del governo del dittatore si disciolse anche la terribile polizia, braccio armato di coloro che hanno ordinato di tenere il problema completamente occultato ai media occidentali.
Le cause del fenomeno sono invece molteplici e credo che non possano essere ristrette alla sola analisi delle politiche sull'infanzia del regime. Credo di dover guardare anche agli studi di quelle che erano le tipiche strutture famigliari della Romania prima e durante il regime, studiandone le caratteristiche da molti punti di vista, antropologico e sociologico in primis. La famiglia romena prima del regime era di tipo patriarcale e la composizione dei suoi membri arrivava ad includere più generazioni, impegnate nel mantenimento del gruppo mediante l’attività agricola e l’educazione dei figli. L’autorità risiedeva nei capifamiglia, che gestivano autonomamente la politica famigliare; ma un ruolo importante era quello delle donne, maestre di vita dei propri figli e nipoti.
Il socialismo invase questa realtà. L'imposizione di una industrializzazione e urbanizzazione forzata su una società quasi completamente rurale hanno prodotto una rivoluzione del sistema-famiglia in Romania negli anni del dopoguerra, e le politiche sulle nascite di Ceausescu si sono caratterizzate da svariati incentivi economici nella politica delle nascita, e dalla proibizione della pratica dell’aborto, frequente prima del 1966, in modo da far crescere, con la popolazione, anche la potenza e il prestigio dello Stato. Maggior popolazione voleva dire maggior forza lavoro da usare, sviluppo del sistema industriale, autosufficienza e crescita economica. Il mantenimento dei figli divenne la principale, se non l’unica preoccupazione dei padri e delle madri di famiglia. Lo Stato garantiva a tutti un posto di lavoro ed una quantità minima di cibo per tutti, quindi i cittadini divennero completamente deresponsabilizzati dal punto di vista della vita pubblica, e i nuclei famigliari destinavano la quasi totalità delle loro risorse al futuro dei propri figli. Futuro controllato, futuro che non c’era.
Negli ultimi anni del regime il dittatore comunista raggiunse il perfetto pareggio della bilancia dei pagamenti dello stato romeno. Il debito estero cancellato doveva essere simbolo della forza del popolo e del comunismo. Ma questo prestigio, celebrato con la costruzione di palazzi mostruosi sopra le piccole case del centro storico, era stato possibile solamente con il sacrificio disumano della popolazione, e dell'economia interna di investimenti e remunerazioni. La crisi economica non poteva convivere in una casa con molti bambini. I bambini orfani, o abbandonati per strada, aumentarono in maniera esponenziale, e divennero un problema di immagine, prima che sociale. La soluzione fu semplice e drastica: istituti nazionali specializzati e controllati dalla polizia del regime, così si realizzò l'ennesima pietra sopra.
Dopo il 1989, con la morte di Ceausescu, il fenomeno dei ragazzi esplose con la chiusura degli istituti specializzati del regime e con l'introduzione dei principali elementi della ristrutturazione economica (privatizzazioni, liberalizzazioni monetaria e dei salari, aumento degli investimenti stranieri) che hanno aumentato il costo della vita, ridotto le politiche sociali e i sussidi (famigliari, per disoccupati, di assistenza sociale, pensioni, sussidi sanitari). Risultato: l'aumento esponenziale delle disuguaglianze sociali (5 volte rispetto al numero di famiglie povere nel 1989). E questa condizione di miseria, tutta a carico delle famiglie che non poterono usufruire degli aiuti dello Stato, ha causato una situazione di estrema precarietà, soprattutto nelle dinamiche famigliari, di cui non è difficile immaginarne le conseguenze.
Nel 2010 non si sa il numero dei ragazzi che vivono nelle strade di Bucarest, anche se si parla di circa due migliaia. I numeri del governo sono minori rispetto a quelli delle organizzazioni non governative che lavorano sul campo. I requisiti di ingresso nell’Unione europea hanno sicuramente costretto la Romania ad introdurre numerose novità nel sistema dell’assistenza dei minori, e l’attenzione dei media occidentali ha portato ad un grande coinvolgimento di organizzazioni non governative romene ed occidentali. Quindi il problema non è stato trascurato. Tuttavia, raggiunto l’ingresso nell’Unione, si è preferito ragionare più sullo spostamento dei gruppi dei ragazzi dal centro alle periferie, agendo di più sui numeri piuttosto che sulla qualità delle condizioni di vita di questi ragazzi. Bucarest centro è il centro di una capitale europea, in realtà le macchine dei diplomatici non passano per le periferie, dove la situazione dei ragazzi non sta migliorando rispetto a 15 anni fa.
Per molti operatori sociali c’è stato un peggioramento delle condizioni di vita negli ultimi anni. La crisi economica obbliga lo Stato a ridurre i fondi disponibili per politiche sociali e le ong si ritrovano a vedere drasticamente diminuiti i fondi da destinare ai progetti. Negli ultimi anni inoltre l’aumento della circolazione della droga ha reso possibile l’uso di droghe pesanti e non tutte illegali. Le strade dei ragazzi non sono fatte di sola colla, ma anche di siringhe e buchi nelle braccia.
Per concludere, se venite a Bucarest vedrete il centro di una capitale che sta cercando di essere quella di un importante paese dell’Unione europea. Il problema dei ragazzi non si vede tra l’università e l’Intercontinental. Il problema è stato letteralmente spostato, quasi nascosto, come la polvere, quindi inesistente e poco importante. Forse esistono due Bucarest, forse una sola, o forse tante quante sono le sue disuguaglianze. Non avevo mai visto in maniera così evidente tre mondi che potessero stare all’interno dei confini di una città: il Primo, il Secondo ed il Terzo.
Mi rendo conto che è difficile.

domenica 21 novembre 2010

Quasi Natale

Strada Bucur è una delle tante strade di Bucarest che aspettano il Natale. Vicino a strada Bucur le luci natalizie, che si sono già arrampicate sui lampioni servendosi degli inestricabili grovigli di cavi elettrici, aspettano il Natale. Un bambino compie gli anni, in una festa di famiglia. Ma oggi, mentre si aspetta il compleanno del Bambino, Cristina compie 17 anni. Oggi stava veramente male. La colla l'ha distrutta e l'ha imprigionata in un viso di tristezza e rabbia.

Arrivato in strada Bucur compro due pagnotte, tre scatole di salamini e un'acqua naturale. Incontro i ragazzi di Bucarest al solito posto. La panchina sulla strada che porta a Costanta ne raccoglie otto oggi. La colla nelle loro mani sembra innocua, ma li rende rincoglioniti, come Cristina stasera. Ma mi vengono incontro, vedendomi arrivare, e mi chiamano per nome: "Lorenzo, Lorenzo". Chissà...penso si ricordassero che sarei venuto venerdì sera da loro con la cena. La borsa della spesa purtroppo non offre molte prelibatezze, solo pane e salame, e alcuni ne rimangono delusi. La cena resta nelle mie mani, non deve scappare, soprattutto perchè hanno molta fame e bisogna fare attenzione. Ho bisogno di fare un sorriso a Florin e ad un altro ragazzo di 24 anni; credo di dover avere la loro autorizzazione per procedere con la cena in quanto sono i più grandi, e io ho notato una certa gerarchia nel gruppo.


Possiamo mangiare. Ma non mi va di stare in strada. Propongo di spostarci in un posto più riparato dai rumori del traffico, magari un posto al chiuso. I ragazzi mi portano in un rudere accanto all'incrocio tra strada Bucur e il grande viale che porta a Piata Unirii. E' una casa semidistrutta, con i muri squarciati e le macerie cadute nel piccolo vialetto che porta all'entrata. Florin ha la chiave del cancello. Aspetta che tutti entriamo e poi lo chiude. Entrato nel rudere mi assale un odore nausenate di merda e piscio, così intenso che non nascondo gli sforzi per trattenere i conati. Ma mi riprendo e salgo con loro al primo piano, dove entrano in una stanza con tre pareti e una finestra, nella quale si sono portati materassi per dormire, ma non per tutti. Infatti quando i piccolini di 12 anni hanno cercato di distendersi sul materasso di Mustafa, il quarto più vecchio, ma il più sveglio di tutti, 19 anni, sono stati portati via a forza.
Distribuisco la cena il più equamente possibile. Appena dispongo sul letto il cibo mi si forma un cerchio di persone intorno, affamati con l'istinto di non aspettare la propria parte. Ma la distribuzione del cibo procede quasi alla perfezione. Purtroppo Floria e Cristina, le due sorelle di 16 e 17 anni (così dicono ma a me pare che ne abbiano 14) non hanno ricevuto una porzione come gli altri. Allora decido di andare a comprare altri due pezzi di pane. Florin e Mustafa decidono di accompagnarmi, anche perchè Florin ha le chiavi della casa, ed eravamo chiusi dentro. In tre andiamo nel chiosco di cibo ancora aperto. Ovviamente i ragazzi sono furbi e ne approfittano dei mie lei, e mi chiedono un pacchetto di sigarette. Glielo avrei dato volentieri, ma devono capire che non sono colui che deve risolvere i loro problemi, e che non posso permettermi di comprare oltre il cibo anche il fumo. Un'altra volta, magari domenica, porterò loro le sigarette. Mi sembra che la loro voglia di fumare sia come un bisogno di disintossicarsi da quella colla di merda, che gli sporca la bocca di quel suo colore argento, quasi come se fosse un elisir di lunga vita, fatata ed ingannevole bevanda di qualche eroe che cade nell'inganno di poter diventare invincibile contro il freddo e la fame. Il fumo è più normale, il fumo è più leggero. Non lo so se è così, ipotizzo che sia un bisogno e non solo una voglia.
Ma non facciamo neppure tempo ad attaversare una strada che si maerializza un'auto della polizia, e ci ferma. Che facciamo qui, perchè siamo in strada. Via quella colla! Mi guardano strano, ma non spiaccico parola. Florin si fa piccolo e mette le mani davanti, leggermente in alto, quasi per arrendersi ad un volere, dal quale neanche loro, i "sempre-liberi" ragazzi di strada, non possono scappare. Sguardi malefici di uno stato senza la S maiuscola. Anadatevene via. Scio! Il poliziotto ha detto "sciò"! Andatevene o saranno guai.
Nascondetevi.
E nello stesso momento penso al compleanno di Cristina, che ora si è accasciata per terra, in quella stanza di macerie, con un sacco a pelo che più che gli occhi le vorrebbe coprire le orecchie. E' già due volte che vedo Cristina così male. La colla la sta mangiando. Chiedo a loro quante ore dormono per notte.
Dipende da quando finisce la colla. Mi dice Florin.
Quanta colla consumano? Sempre Florin mi dice che ne usa quasi un litro al giorno, un litro di questa sostanza inalante, che loro la mettono in sacchetti presi dai cestini della spazzatura. Mustafa dice che usa mezzo litro al giorno di questa maledetta droga che loro chiamano "bronze", questa sostanza miscela di colla e vernici industriali, prodotta con l'acqua di chissà che posto. Con questa colla non sentono freddo e poco la fame, ma mette loro nervosismo ed agitazione. Cristina si è accasciata per questo. Altri ragazzi cominciano ad essere nervosi. Alin non ragiona più. Lui è il secondo più vecchio, ha 23 anni, ma ha molti problemi psicologici. Mi parla di sua mamma, che vorrebbe fosse con lui. Io non so se questi ragazzi abbandonati abbiano mai conosciuto le loro mamme. Mi viene da dire di no.
Ormai è ora di andare ragazzi, non riesco più a trovare parole in romeno da dirvi. Il mio romeno non è ancora molto ricco. Dopo due ore e mezza di serata assieme devo lasciarvi. No grazie Alin, non resto con voi a dormire, magari un'altra volta. Ciao.
Pa pa.

Uscito dalla "villa in macerie" mi metto a sedere su una panchina di fronte alle luci natalizie.